Biografia degl’interventi legislativi italiani in materia di stupefacenti

luglio 2015 articolo: Dolce Vita n°59

1923
Il primo intervento legislativo italiano in materia di stupefacenti fu la legge 396/1923Provvedimenti per la repressione dell’abusivo commercio di sostanze velenose aventi azione stupefacente” che puniva, con pene detentive brevi, la vendita, la somministrazione e la detenzione di tali sostanze da parte di persone non autorizzate nonché, con una multa, la partecipazione “a convegni in fumerie” (?!!) adibite all’uso di stupefacenti. Successivamente, la legge n.1145/1934 contenente “Nuove norme sugli stupefacenti” introdusse il “ricovero coatto” dei tossicomani in “case di salute”.

1954
Novità rilevanti furono apportate dalla legge n. 1041/1954Disciplina della produzione del commercio e dell’impiego degli stupefacenti” che prevedeva un inasprimento delle sanzioni penali per chiunque detenesse sostanze stupefacenti, senza alcuna distinzione tra commercio e mero uso personale. Il ricorso al ricovero coatto in ospedali psichiatrici fu mantenuto nei confronti “di chi, a causa di grave alterazione psichica per abituale abuso di stupefacenti, si rende comunque pericoloso a sé e agli altri o riesce di pubblico scandalo”.

Anni ‘60
A partire dalla fine degli anni ‘60 vi fu una rapida diffusione delle droghe nel mondo giovanile, alimentata sia da motivi culturali e ideologici che da logiche di mercato particolarmente allettanti per i narcotrafficanti, e apparve sempre più inadeguata una legge che poneva sullo stesso livello spacciatori e consumatori.

1975
Con la legge 685 /1975  “Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”, pur vietando la detenzione di sostanze stupefacenti, prevedeva una causa di “non punibilità” se la sostanza era destinata al proprio uso personale e se si trattava di una “modica quantità”, introducendo quindi una distinzione tra spacciatore e consumatore. Accanto agli strumenti repressivi, furono introdotti una serie di interventi di prevenzione sociale e di assistenza socio-sanitaria:  chiunque poteva chiedere di sottoporsi volontariamente ad interventi riabilitativi presso presidi ospedalieri, ambulatoriali, medici e sociali localizzati nella regione, mentre permaneva il ricovero coatto nei casi in cui l’autorità giudiziaria ravvisasse la necessità del trattamento medico e assistenziale.

1990
Si arriva in questo modo alla legge Vassalli Russo Jervolino (testo aggiornato al 2017) che guardava con sfavore non solo il traffico e lo spaccio, ma anche l’assunzione di stupefacenti. Tuttavia la detenzione di droga incontrava solo la sanzione amministrativa quando non superava i limiti della dose media giornaliera, che erano fissati da un decreto ministeriale: oltre quei limiti interveniva, con gradualità, la sanzione penale. Il consumatore di droga non era più ritenuto un semplice ammalato, ma un soggetto che, pur avendo bisogno di cure, compiva una scelta che lo Stato non apprezzava; lo Stato tuttavia tendeva la mano a colui che sbagliava,  e permetteva all’assuntore di droga di andare esente dalla sanzione amministrativa o penale, a condizione di abbandonare la droga e di seguire un percorso di recupero. Più nel dettaglio la legge Jervolino Vassalli stabiliva che l’uso personale di droga – sia leggera che pesante- fosse un illecito, ma prevedeva sanzioni soprattutto amministrative: prevedeva un avvertimento del prefetto a cui potevano seguire, dalla volta successiva, provvedimenti quali la sospensione della patente o del passaporto per un massimo di tre mesi; sanzioni seguite, eventualmente dall’intervento dell’autorità giudiziaria con una serie di sanzioni che potevano arrivare ad un massimo di tre mesi di carcere. La produzione e lo spaccio invece erano sanzionate con pene diverse e si prevedeva la reclusione: ma i periodi variavano sia in base alla distinzione tra droghe leggere (dai 2 ai 6 anni più una multa) e droghe pesanti (dagli 8 ai 20 anni), sia in base alla quantità coinvolta, se “modica” o più ingente. Le misure alternative, anche terapeutiche, come l’affidamento in comunità, erano previste per le condanne fino a quattro anni. La distinzione tra “leggere” e “pesanti” era fatta in base ad apposite tabelle pubblicate dal ministero della Salute.

1993
A partire dal referendum del 1993, e fino al 2006, anche la detenzione di quantitativi importanti di stupefacenti, che non fosse accompagnata da gesti univoci di cessione a terzi, era penalmente irrilevante: in questi termini si era orientata la giurisprudenza, che era giunta a ritenere non punibile la detenzione di decine di grammi di eroina, e perfino la cessione finalizzata al “consumo di gruppo”.

2006
E’ intervenuta in seguito la legge Fini Giovanardi (decreto legge 49/2006), dai nomi dei suoi promotori. La maggiore novità della legge Fini-Giovanardi era stata l’abolizione della distinzione tra droghe leggere e pesanti (unificando le tabelle del ministero della Salute), insieme all’inasprimento delle sanzioni. Nel caso di condanna per spaccio e traffico di stupefacenti, le pene andavano dai 6 a 20 anni: in concreto, la pena minima per un piccolo spacciatore di marijuana si alzava dai 2 ai 6 anni e prevedeva dunque quasi certamente il carcere. Le quantità minime per uso personale, fissate da una commissione del ministero della Salute, erano relativamente basse: per esempio 500 milligrammi di principio attivo per la cannabis, cioè circa 5 grammi lordi. Secondo molti la legge Fini-Giovanardi ha contribuito notevolmente in questi anni al sovraffollamento delle carceri italiane.

2015
Con la declaratoria di illegittimità costituzionale (setenza 32/2014) della legge Fini Giovanardi per un vizio di forma e le disposizioni ad essa collegate in teoria sarebbe dovuta tornare in vigore la legge Vassalli/russo Jervolino. In realtà è stato emanato il decreto Lorenzin, che dispone delle modifiche alla legge Vassalli Jervolino. Tra le principali novità troviamo:

  • sanzioni più basse per il cosiddetto spaccio di lieve entità (reclusione da 6 mesi a 4 anni e multa da mille a 15mila euro);
  • inserimento tra le droghe leggere di tutte le cannabis , senza distinzione tra indica, sativa, ruderalis o ibride;
  • inserimento di tutte le droghe sintetiche riconducibili per struttura chimica o effetti tossicologici al tetraidrocannabinolo (Thc) – principale principio attivo della cannabis – nella tabella I sulle droghe pesanti;
  • possibilità per il giudice di applicare (al posto di detenzione e multa) la pena del lavoro di pubblica utilità (di durata equivalente alla condanna detentiva) nel caso di piccolo spaccio o altri reati minori commessi da un tossicodipendente.

articolo pubblicato su: Dolce Vita Magazine n°59/2015 pag. 19