La Corte di Cassazione diventa Legislatore

Con udienza del 6 dicembre 2018 la Suprema corte di Cassazione (terza sezione), ha dovuto prende i panni del legislatore. Il Ministero della Salute (ex Ministro Lorenzin) è da più di un anno che con illecito commesso per mancanza di applicazione del Art. 5 della Legge 242/2016 sembra voglia volutamente ostacolare i lavori di integrazione di questa nuova economia basata sulla Cannabis Sativa L.

La suprema Corte (notizia di decisione 12/2018) per mano del presidente Grazia Lapalorcia, ha sentenziato che la commercializzazione dei prodotti derivati della coltivazione della Canapa è legale solo se rispettati tre punti fondamentali della legge 242/2016:

  1. Deve trattarsi di una delle varietà ammesse iscritte nel catalogo europeo delle varietà delle specie di piante agricole, che si caratterizzano per il basso dosaggio di THC.

  2. La percentuale di THC presente nella canapa non deve essere superiore allo 0,2%.

  3. La coltivazione deve essere finalizzata alla realizzazione dei prodotti espressamente e tassativamente indicati nell’Art. 2 comma 2 della Legge 242/2016, fermo restando che la sussistenza del reato di cui all’Art.73, comma 4, d.P.R. 309/1990 a carico del commerciante, occorre verificare l’idoneità della percentuale di THC a produrre un effetto drogante rilevabile.

Trovo importantissimo che finalmente un organo istituzionale (peccato non sia un Ministero di competenza a pronunciarsi) come la Suprema Corte di Cassazione abbia finalmente riconosciuto la commercializzazione dei prodotti di canapa. Dopo l’approvazione della nuova legge sulla canapa, per la commercializzazione restava ancora come riferimento la vetusta Circolare del Ministero della Salute del 22 maggio 2009, quando vigeva ancora l’incostituzionale legge Legge Fini-Giovanardi. Oggi la Cassazione riconosce questo mercato, ma come previsto dai suoi poteri lo limita alla legislazione vigente, togliendo di fatto l’uso tecnico e collezionistico.

Art. 2 comma 2 della Legge 242/2016:

a) alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori;

b) semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attivita’ artigianali di diversi settori, compreso quello energetico;

c) materiale destinato alla pratica del sovescio;

d) materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;

e) materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati;

f) coltivazioni dedicate alle attivita’ didattiche e dimostrative nonche’ di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;

g) coltivazioni destinate al florovivaismo.

Con il punto 1) “Deve trattarsi di una delle varietà ammesse…” la Suprema Corte ha sottolineato quello che era già abbastanza chiaro nella legge 242/2016 e nei regolamenti europei, gli unici semi utilizzabili per la produzione vegetale nei paesi membri devono essere quelli iscritti al catalogo delle piante UE.

Al punto 2) “La percentuale di THC presente…” all’Art. 2 comma 2 della Legge 242/2016 secondo la Suprema Corte  “…non deve essere superiore allo 0,2%” questa pronuncia teoricamente dovrebbe alzare il livello di delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) anche negli alimenti, al riguardo non esiste ancora atto legislativo che indichi la contaminazione negli alimenti ammessa.

Con il punto 3) “La coltivazione deve essere finalizzata …” al asclusiva produzione di prodotti ricadenti nel elenco all’Art. 2 comma 2 della Legge 242/2016 con questa decisione, vengono esclusi tutti i prodotti ad uso “collezionistico” ma non può vietare la produzione dei prodotti che ricadono sotto le normative vigenti sul Florovivaismo. Il giurista conclude con una raccomandazione “…occorre verificare l’idoneità della percentuale di THC a produrre un effetto drogante rilevabile.” che poco vuole dire, visto che non specifica se il prodotto debba restare sotto lo 0,2%, sotto lo 0,5% (valore ONU) o che non abbia un tenore di THC complessivo di 25mg (dose media singola) per non ricadere sotto l’accusa di spaccio prevista dall’Art.73, comma 4, d.P.R. 309/1990.

Ritengo che non sia dovere della giurisprudenza creare precedenti per regolarizzare un mercato che doveva essere legiferato dai Ministeri competenti. il compito della Cassazione dovrebbe essere quello di mettere chiarezza nelle leggi esistenti e non quello di sopperire alla mancanza di chiarezza del legislatore. Una repubblica che demanda questi compiti ad un aula di tribunale dove manca il confronto democratico non può intendersi uno stato di diritto.

 

Una risposta a “La Corte di Cassazione diventa Legislatore”

  1. stiamo valutando la veridicità della pronunzia…..
    ma se fosse vero, bisogna modificare l’etichettatura sostituendo “uso collezionistico” con “profumatore di ambienti”, “fiori secchi”, “uso florovivaismo” e i limiti del THC<0,2% anche se non si capisce se ci sono multe tra 0,2-0,5%

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